lunedì 28 febbraio 2011

Frutta e verdura: ne servono di più

Mangiare alimenti vegetali otto volte al giorno abbassa
il rischio di morire per malattie cardiovascolari Per proteggere il cuore non bastano più le cinque porzioni giornaliere di frutta e verdura suggerite nel 2003 dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, ora la richiesta è salita a otto. Secondo quanto pubblicato sull' chi mangia otto volte al giorno frutta e verdura ha il 22 per cento di probabilità in meno di morire per malattie di cuore e vasi rispetto a chi ne consuma solo tre porzioni nell’arco delle 24 ore. LO STUDIO - Lo studio in questione è frutto della collaborazione tra numerosi istituti europei coordinati da Francesca Crowe, ricercatrice presso l’Università di Oxford. In particolare i ricercatori guidati dalla Crowe hanno analizzato dati provenienti dal European Prospective Investigation into Cancer and Nutrition (EPIC), un progetto finanziato dalla Comunità Europea che si propone di valutare le relazioni tra dieta, stili di vita, fattori ambientali e l’insorgenza di tumori e altre malattie croniche come quelle cardiovascolari. Le informazioni raccolte dal 1992 al 2000 riguardano abitudini alimentari e condizioni di salute di più di 300mila persone tra i 40 e gli 85 anni provenienti da otto Paesi europei, tra cui l’Italia. Dall’elaborazione dei dati è emerso che consumare alimenti vegetali almeno otto volte al giorno ridurrebbe di quasi un quarto la probabilità di morire per malattia coronarica. Inoltre, secondo i ricercatori, a ogni porzione in più di frutta e verdura, quantificata in 80 grammi, più o meno una piccola banana o una carota, corrisponderebbero 4 punti percentuali in meno di rischio cardiovascolare. DIETA O ALTRO? - «Dobbiamo però essere cauti davanti a questi risultati - precisa la Crowe -. Spesso infatti chi ha un’alimentazione sana adotta anche altri salutari stili di vita che potrebbero contribuire, insieme al consumo di frutta e verdura, alla protezione cardiovascolare». D’altra parte è anche vero che chi mangia più cibi di origine vegetale riduce l’apporto calorico della dieta tenendo così lontani i chili di troppo che condurrebbero a sovrappeso e obesità, appurati nemici della salute cardiocircolatoria e non solo. «Se è vero che frutta e verdura hanno un effetto protettivo sul cuore - sostiene in un editoriale di commento allo studio Micheal Marmot, direttore dello University College di Londra -, si potrebbe produrre una pillola coi nutrienti responsabili e non preoccuparsi più della dieta. Ma esperimenti condotti somministrando vitamine antiossidanti non hanno portato a conclusioni chiare e definitive sul loro ruolo nel ridurre l’incidenza di cancro e malattie cardiovascolari». Sembrerebbe dunque che l’effetto benefico sulla salute non risieda tanto nei singoli micronutrienti quanto in qualcosa di più complesso e articolato. «Se con ulteriori studi riusciremo a scoprire i meccanismi biologici che stanno alla base della relazione tra frutta e verdura e malattie coronariche - conclude la Crowe - saremo in grado di stabilire se in questo legame c’è un vero rapporto di causalità». L’ALIMENTAZIONE IN ITALIA - Indipendentemente dalle spiegazioni scientifiche il messaggio però appare chiaro: più si mangia sano, con più frutta e verdura, e meglio è. L’Italia a questo proposito sembra essere sulla buona strada. Tra tutti i Paesi coinvolti nell’indagine, è infatti l’unico, insieme alla Spagna, in cui si superano in media le sei porzioni di vegetali nell’arco della giornata. In parte ciò è dovuto alla grande varietà di frutta e ortaggi e alla tradizione culinaria di cui sono dotati i Paesi mediterranei come appunto l’Italia. Non a caso infatti sono proprio gli stati dell’Europa del Nord, meno dotati sotto il profilo della varietà alimentare, a consumare meno frutta e verdura. Le porzioni di vegetali consumate giornalmente da un inglese sono in media 4,5, mentre uno svedese non arriva neppure alle 4. Sul totale del campione europeo considerato dalla Crowe, però, solo una persona su 5 arriva alla meta delle caldeggiate otto porzioni. In Italia in realtà le linee guida dell’INRAN, l’Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione, suggeriscono, per mantenersi in buona salute, di consumare frutta e verdura circa cinque volte al giorno. Nel Bel Paese però si abbonda con le quantità, non più gli striminziti 80 grammi citati nell’EPIC, ma bensì i 250 e 150 grammi, rispettivamente per verdura e frutta, definiti dall’INRAN come singola porzione. Blogger Markus
giovedì 24 febbraio 2011

Carni bianche, i "grassi buoni"

Nelle carni bianche i grassi sono "buoni". Le scelte nutrizionali per difendere il fegato: diversi studi confermano il ruolo protettivo di tacchino e affini. Meglio le carni bianche o quelle rosse? Secondo diversi studi il voto più alto va alle prime. Per esempio, in una recente ricerca, che ha coinvolto 495 mila persone, pubblicata dal Journal of the National Cancer Institute, si è visto che il consumo di carne rossa e di acidi grassi saturi (per intenderci, quelli «cattivi») era associato a un aumentato rischio di malattie croniche del fegato e di epatocarcinoma, mentre la carne bianca sembrava ridurre tale rischio. Un dato simile era emerso anche in uno studio condotto da ricercatori dell’Istituto nazionale dei tumori di Aviano, i quali, confrontando le abitudini alimentari di 185 pazienti con epatocarcinoma con quelle di 412 pazienti sani, hanno osservato una associazione inversa fra consumo di carni bianche e tumore al fegato. Carni bianche e rosse a confronto. GRASSI SATURI - Ma perché le carni bianche avrebbero «effetti» diversi rispetto a quelle rosse? «Perché le carni bianche hanno meno grassi saturi - risponde Renato Talamini, direttore dell’Unità di epidemiologia clinica e valutativa di Aviano e coautore dello studio - anche se poi, ovviamente, molto dipende dal tipo di carne con cui si fa il confronto: il contenuto di grassi della fesa bovina è ben diverso da quello della fiorentina. Chi fa grande uso di grassi saturi è, come si sa, più esposto al rischio di molti tumori, compresi quelli del fegato. Viceversa, i grassi monoinsaturi e polinsaturi (di olio di oliva, olio di semi di girasole, pesce), proteggono dal cancro, naturalmente a patto di farne un uso abituale ma moderato. Inoltre, le carni rosse sono più ricche in ferro "eme" (forma molecolare assorbita più facilmente dall’organismo rispetto al ferro "non eme", l’unico presente nei vegetali) il cui eccesso può portare ad una grave tossicità epatica. «I nostri studi - conclude Talamini - hanno però evidenziato anche l’effetto protettivo di un elevato consumo di pesce (ricco in grassi polinsaturi omega3) e di vegetali (ricchi di antiossidanti). In ogni caso, non è facile arrivare a conclusioni definitive sul ruolo di un solo componente della dieta; quello di cui siamo certi è che uno stile di vita complessivamente salutare può prevenire molti tumori». In ogni caso, per tutte le carni, sono da preferire i tagli magri ed è bene non ricorrere spesso a modalità di cottura come quelle ad alte temperature, che possono favorire la formazione di amine eterocicliche e idrocarburi policiclici aromatici sospettati d’essere cancerogeni. Blogger MArkus
lunedì 21 febbraio 2011

Anoressia, un "difetto" nel cervello
ci fa vedere diversi da ciò che siamo

Uno studio italiano scopre una nuova causa "endogena" della malattia. Chi ne soffre ha una riduzione di volume delle aree cerebrali coinvolte nella rappresentazione mentale di sé e nella manipolazione delle immagini mentali. È la prima volta che si attribuisce una base neurobiologica alla patologia Guardandosi allo specchio hanno una percezione alterata della propria immagine. Per questo non si sentono mai abbastanza magre e smettono di mangiare, ammalandosi così di anoressia. La colpa è di un 'difetto di fabbrica' del cervello che è più vulnerabile in quelle aree coinvolte nella rappresentazione mentale di sé e nella manipolazione delle immagini mentali. La scoperta si deve a un gruppo di ricercatori italiani che, sulle pagine di Psychiatry research: Neuroimaging 1, spiega come nelle persone malate di anoressia si assista a una riduzione del volume del cervello, un meccanismo questo che è capace di modificare la percezione di sé stessi. L'anoressia è una malattia che parte dalla mente per poi arrivare al corpo devastandolo nella sua biologia. Lo studio è stato realizzato al Dipartimento di neuroscienze dell'ospedale Bambino Gesù di Roma da Santino Gaudio, medico psichiatra, impegnato in diversi progetti di ricerca con importanti ospedali italiani, ed è il primo a riconoscere una base neurobiologica alla distorsione dell'immagine corporea, sintomo cardine dell'anoressia nervosa. Quel meccanismo cioè che induce una persona affetta da questo disturbo alimentare a pensare di non essere mai abbastanza magra e che, addirittura, lo porta a temere di ingrassare anche quando si versa in uno stato di denutrizione. "Il nostro studio - spiega Gaudio - scopre una nuova possibile causa di questo disturbo alimentare. Fino ad oggi infatti abbiamo sempre considerato l'interazione di molteplici fattori: biologici, genetici, ambientali, sociali, psicologici e psichiatrici. Ma finora non era stata ricercata la causa nella struttura cerebrale". Per comprendere il rapporto tra le misure del cervello e l'origine dell'anoressia nervosa, i ricercatori hanno utilizzato la morfometria basata sui voxel (Vbm), una tecnica di analisi in neuroimaging che consente proprio di calcolare il volume di aree specifiche del cervello. In questo modo sono riusciti a confrontare la quantità di materia grigia presente nel cervello di 16 ad00_anoressiaolescenti con anoressia nervosa restrittiva (senza alcun altro disturbo psicologico) e di 16 ragazze adolescenti sane. L'analisi ha rivelato una significativa diminuzione del volume di materia grigia nelle pazienti affette da anoressia. E in particolare il volume "ridotto" riguardava quelle aree - lobo parietale inferiore e superiore - coinvolte nella manipolazione delle immagini mentali e nella rappresentazione mentale del sé. "Va detto però - dice il ricercatore - che nelle giovani donne malate del campione l'anoressia durava da meno di un anno. La media infatti era di cinque mesi, un lasso di tempo in cui la malattia non poteva aver modificato con il dimagrimento la struttura cerebrale". Nelle ragazze affette da anoressia, dunque, il "difetto" preesisteva e poteva fare la sua parte nel fornire alla malata un'immagine distorta del proprio corpo. "Anche se ci sentiamo ancora all'inizio  -  dice Gaudio - siamo molto soddisfatti. Il nostro studio ha svelato un volto nuovo dell'anoressia. Sarà necessario andare avanti con nuove ricerche su questa strada per arrivare anche a nuovi trattamenti. Per esempio a terapie più centrate sulla riorganizzazione dell'immagine del sé e del proprio corpo".
giovedì 17 febbraio 2011

PRODUZIONE DI ENERGIA A LIVELLO CELLULARE

Una carica di energia extra.... subito! Il corpo umano ha 60 trilioni di cellule che hanno bisogno di NADH per funzionare al meglio. -NADH è un enzima primario per il corpo ed è correlato alla produzione di energia -Maggiore è la quantità di NADH di cui le cellule dispongono, maggiore risulta essere la quantità di ATP* prodotto -Senza caffeina, zuccheri e calorie ␣ Senza coloranti né aromi artificiali Per quando sei attivo e il tuo corpo chiede di più -Per le volte in cui hai bisogno di una sferzata di energia extra -Per quando devi andare avanti e non puoi permetterti di fermarti... NADH aiuta ad innescare il ciclo di produzione di ATP a livello cellulare Maggiore è la quantità di NADH disponibile, maggiore sarà la quantità di ATP prodotta dalle cellule. Tutti abbiamo bisogno di NADH non solo per alimentare le cellule ma anche per far funzionare il corpo, come ad esempio anche per muovere un braccio o battere le ciglia, pensare ed addirittura respirare! Cos’è NADH? NADH è il coenzima primario che alimenta più di mille processi metabolici dell’organismo. In pratica, è “carburante” per le cellule. Come viene utilizzato NADH dal corpo? L’NADH aiuta ad innescare il ciclo attraverso il quale si produce ATP. Tale processo risulta estremamente complesso ed attraverso di esso viene creata l’energia necessaria al funzionamento delle cellule. La mancanza di NADH a livello cellulare, provoca una carenza di ATP e di conseguenza della complessiva energia disponibile per il corpo. Perché abbiamo bisogno dell’NADH? La diminuzione dei livelli di energia è un processo fisiologico che si verifica con il passare del tempo. L’NADH aiuta la naturale produzione di energia, innescando il ciclo di produzione di ATP. QuickSpark è un modo pratico per incrementare la propria energia, attraverso un’integrazione di NADH. Per i professionisti e le persone in carriera -Con la costante necessità di aumentare i livelli di concentrazione -Con il crescente bisogno di attenzione -Con la necessità di dover fronteggiare situazioni altamente sfidanti Per chi studia o chi fa un lavoro a turni -Con la necessità di avere energia sempre a disposizione -Con il bisogno di essere sempre attenti e concentrati Per gli over 60 -Con il bisogno di essere energici ed attivi -Con il desiderio di essere sempre più vitali Vuoi saperne di più? Guarda su ...
lunedì 14 febbraio 2011

Cruciverba o passeggiata? L'attività fisica rafforza la memoria
 meglio una passeggiata del cruciverba

Secondo uno studio americano per tenere la mente attiva bastano 40 minuti di camminata veloce al giorno per un anno. Gli esperti: "Una buona notizia per le ricerche sull'Alzheimer" Che la mens sana albergasse in un corpore sano si sa dall'antichità; oggi la ricerca arriva a sostenere che fare jogging rafforza la memoria anche più dell'esercizio puramente mentale. Scienziati autorevoli come quelli dell'Albert Einstein College of Medicine di New York hanno più volte ribadito che per mantenere la mente attiva bastano un paio di cruciverba a settimana. A sfidare la loro tesi ora sono i colleghi di quattro università americane, secondo i quali per tenere in forma il cervello, più che le parole crociate, è necessaria una corsetta. Niente di sfiancante, bastano 40 minuti di camminata (meglio se a passo veloce) al giorno. A sostenere la tesi sono i ricercatori della University of Pittsburgh, della University of Illinois, della Rice University e della Ohio State University, secondo i quali questo tipo di allenamento rallenta il calo mnemonico fisiologico legato all'età ed aumenta il volume dell'ippocampo, area del sistema nervoso deputata al mantenimento dei ricordi. La ricerca, pubblicata su Proceedings of the National Academy of Sciences (Pnas), è opera dell'equipe del professor Arthur Kramer, che ha monitorato per un anno un gruppo di 120 persone di età media pari a 66 anni. A metà del gruppo gli studiosi hanno proposto un regime di attività fisica che consisteva in una camminata di 40 minuti da fare per tre volte a settimana; al gruppo di controllo hanno chiesto semplicemente di fare esercizi di stretching. Osservando il loro cervello con la risonanza magnetica funzionale all'inizio e alla fine dell'esperimento, è emerso che, con l'esercizio aerobico, in un anno, il volume del centro della memoria, l'ippocampo, aumenta mediamente del 2% e che a ciò corrisponde un miglioramento della funzione mnemonica misurata con test specifici. Tale effetto era particolarmente evidente nell'ippocampo anteriore, dove risiedono le cellule staminali responsabili della neurogenesi adulta. "Una scoperta importante soprattutto per i malati di Alzheimer o per chi soffre di demenza  - spiega il professor Enrico Cherubini, coordinatore del settore di neurobiologia della Sissa (Scuola internazionale superiore di studi avanzati) - ; l'esercizio fisico stimola infatti i fattori di crescita, indispensabili per lo sviluppo neuronale. Il fatto che il fenomeno sia prevalente nell'ippocampo anteriore, tra l'altro, dimostra che esiste una neurogenesi adulta ad opera delle cellule staminali presenti in quella parte del cervello". Il neuroscienziato spiega che le prime dimostrazioni del rapporto tra attività motoria e sviluppo neuronale la ricerca le ha avute studiando i roditori in gabbia: "Quelli tenuti in un ambiente arricchito, con ruote e scivoli per giocare - precisa - sviluppano attività mnemoniche maggiori, che a loro volta provocano un aumento funzionale delle connessioni sinaptiche nel cervello". La corrispondenza tra dimensioni dell'ippocampo e miglioramento della memoria è stata del resto dimostrata più volte: gli ultimi a fare uno studio ad hoc, pubblicato su Hippocampus, sono stati i ricercatori delle università americane dell'Illinois e Pittsburgh, che hanno scoperto che gli adulti fisicamente più sani tendono ad avere l'ippocampo anteriore più sviluppato di circa il 40% rispetto ai loro coetanei meno in forma. Un altro studio del Max Planck Institute di Friburgo, in Germania, pubblicato su Cell Stem Cell, ha anche dimostrato che l'attività fisica protegge la memoria perché migliora l'efficienza vascolare, favorendo l'elasticità e l'apertura delle arterie e quindi la buona circolazione del sangue. I ricercatori tedeschi hanno anche sottolineato che esiste un effetto protettivo neurochimico, dato che l'esercizio libera dei neurotrasmettitori cerebrali che agiscono su attenzione e tono dell'umore, migliorando il funzionamento dei circuiti nervosi cerebrali. I pigri insomma non hanno più scuse: meno cruciverba e più movimento.
giovedì 10 febbraio 2011

Per dimagrire termosifone a 18°
 troppo calore favorisce l'obesità

Una ricerca dello University College di Londra spiega l'alta temperatura artificiale riduce la necessità del corpo di spendere energia per contrastare i rigori dell'inverno. Gli esperti confermano, ma sottolineano che "questa è solo una delle ragioni per cui si ingrassa" "Calor di panni non fa danni", dice un vecchio proverbio, e ancora una volta la saggezza popolare dimostra la sua lungimiranza. Secondo uno studio inglese, il calore prodotto dai termosifoni per attutire le temperature invernali favorisce infatti l'obesità, privandoci di quell'"inverno fisiologico" di cui il corpo ha bisogno per bruciare la giusta quantità di calorie. In altre parole, più dentro casa fa caldo e meno l'organismo è costretto a consumare energia per riscaldarsi. Meglio dunque, secondo lo studio dello University College di Londra pubblicato su Obesity Reviews, un maglione in più e un grado in meno sul termostato. "Anche perché - precisa Ciro Vestita, dietologo dell'università di Pisa e autore di Coltiviamo la salute (Giunti, 477 pp, 16,50 euro) - i termosifoni fanno male in generale. Sono un danno immenso per la salute. La temperatura interna di un appartamento non dovrebbe superare, in inverno, i 18-19 gradi di giorno e i 15 di notte. Ma questo noi non riusciamo a capirlo, e restiamo fermi sui 21. Spalancando la porta a obesità, raffreddori, acari e malattie di ogni tipo per i bambini". Ma vediamo esattamente in che consiste lo studio degli scienziati inglesi. Analizzando l'andamento del metabolismo delle popolazioni di Regno Unito e Stati Uniti, la dottoressa Fiona Johnson e la sua collega Marcella Ucci hanno concluso che una ridotta esposizione al freddo riduce al minimo la necessità del corpo di spendere energia per restare al caldo, sfasando l'equilibrio metabolico dell'organismo, preparato al freddo stagionale. In particolare, studiando le temperature nelle abitazioni private dal 2008 a oggi, le studiose hanno verificato una diretta proporzionalità tra l'aumento dei gradi del termostato e quello dell'obesità. Le autrici hanno analizzato soprattutto il ruolo del tessuto adiposo bruno nella produzione di calore umano. Il cosiddetto "grasso bruno" è diverso da quello bianco perché ha la capacità di bruciare energia per produrre calore, e il suo sviluppo nel corpo è pensato dalla natura per renderci pronti all'esposizione al freddo. Studi precedenti avevano già concluso che un aumento del tempo trascorso in un ambiente caldo può portare a una perdita di grasso bruno e, di conseguenza, a una minore capacità di bruciare energia. "L'aumento del tempo trascorso in casa - spiega la Johnson - l'accesso diffuso a riscaldamento centralizzato e aria condizionata e il miglioramento del comfort termico, contribuiscono a limitare il range di temperature che sperimentiamo nella vita quotidiana e a ridurre il tempo in cui i nostri corpi sono sottoposti a stress termico. Il che significa che stiamo bruciando meno energia e mettendo su peso". La scienziata precisa inoltre che finora "la ricerca sui fattori ambientali che causano l'obesità si è concentrata su dieta ed esercizio fisico, che sono indubbiamente quelli principali. Ma è possibile che altri fattori ambientali, come le temperature invernali indoor, possano avere un ruolo rilevante". Secondo l'endocrinologo Salvatore Ripa, esperto di diagnosi e terapia dell'obesità, quando si parla di chili di troppo non si può tuttavia prescindere da una valutazione globale delle concause: "Anni fa - spiega - condussi uno studio sugli effetti dell'idratazione continua sul metabolismo. Risultò che bere un litro e mezzo di acqua al giorno aiuta a perdere 1 kg ogni mese e mezzo, perché ingerire continuamente acqua costringe il corpo a lavorare per riscaldarla e adattarla alle esigenze dell'organismo. Il rapporto tra temperature e metabolismo è complesso e dato quindi da molteplici fattori: tenere troppi alti i termosifoni non aiuta, ma questa è solo una delle ragioni per cui si ingrassa".
lunedì 7 febbraio 2011

50 esercizi per rassodarti in due mesi ...

Anno nuovo, fisico nuovo. Vuoi rassodare i glutei, rafforzare gli addominali, scolpire i muscoli delle braccia? Non c'è bisogno di iscriversi alla palestra più alla moda della città e passare ore sotto il torchio del personal trainer. Puoi esercitarti a casa tua, la mattina prima di uscire o la sera dopo il lavoro. Bastano un tappetino, pesi e cavigliere (da 1kg a 3kg), se non li hai puoi usare delle bottiglie di plastica piene d'acqua o dei barattoli come pesi e gli elastici per il portapacchi dell'auto. - Prima di ogni seduta fai 15 minuti di riscaldamento (corsa, cyclette, circonduzioni delle braccia, piegamenti delle gambe). - Esegui 3 serie da 10 ripetizioni per ogni esercizio, facendo una pausa di 30 secondi tra una serie e l'altra. - Dopo fai dello stretching, inspirando e espirando profondamente, per allungare i muscoli di tutto il corpo ed evitare dolori e contratture il giorno successivo. Rassodare le gambe Esercizio 18: In piedi, con busto e testa dritti, esegui lo skip, cioè la corsa sul posto a ginocchia sollevate, cercando di spingere le gambe più in alto possibile. Esercizio 19: In piedi, con busto e testa dritti, sollevati sulle punte dei piedi cercando di non perdere l'equilibrio e di non incurvare la schiena. Esercizio 20: Sali e scendi da un gradino. Poggia a terra tutta la superficie dei piedi e non forzare sulle punte. Puoi aumentare il carico indossando le cavigliere. Esercizio 21: In piedi, con busto e testa dritti, braccia in avanti per mantenere l'equilibrio, cavigliera al piede. Porta una gamba piegata verso l'alto. Ripeti con l'altra gamba. Esercizio 22: In posizione seduta, con il busto dritto, le mani sotto i glutei e la cavigliera al piede. Estendi la gamba controllando il movimento e fermandoti cinque secondi quando è tesa. Ripeti con l'altra gamba. Esercizio 23: In piedi, con busto e testa dritti, braccia ai fianchi e cavigliera al piede. Porta la gamba tesa verso l'interno. Ripeto con l'altra gamba. Per avere il programma completo scaricare i file con gli esercizi per le varie parti del corpo e relative foto per capire meglio ( in fondo alla pagina). Nella prima pagina troverai due esempi di programmi, scegli tu se allenarti 2 o 3 giorni alla settimana. Blogger Markus
giovedì 3 febbraio 2011

Italia, sempre più "over 65"
, ma il fitness aiuta gli anziani

Nel nostro Paese sono 12 milioni, non si sentono vecchi ma sono i più in sovrappeso e sedentari d'Europa. Il fitness può venire loro in soccorso: una ricerca israeliana conferma che l'attività fisica aiuta il nostro organismo a resistere ai processi di invecchia L’Italia è sempre più un Paese di 'super anziani'. Se, infatti, gli 'over 65' sono già 12 milioni, una cifra destinata a crescere con l'aumento dell'aspettativa di vita, è soprattutto la fascia degli ultraottantenni ad allargarsi a dismisura. Una fetta di popolazione di circa 3 milioni di persone che entro il 2030 sarà il 700 per cento più numerosa (indagine della Società Italiana di gerontologia e geriatria) rispetto al 1951, anno in cui si è svolto l’ultimo censimento in Italia. Una trasformazione significativa nella struttura della nostra società che a breve sarà chiamata a rispondere efficacemente alla crescente domanda di maggiori risorse umane ed economiche per servizi sanitari ed assistenza sociale. GIOVANI DI SPIRITO — I primi segnali di inadeguatezza sono già, complice la crisi, evidenti oggi: pensioni al limite della sopravvivenza, famiglie che non possono più farsi carico dei nonni, strutture di lunga degenza sempre più costose. Situazione ben poco rosea che, tuttavia, secondo la ricerca internazionale sui servizi sanitari della London School of Economics, non incrina affatto l’ottimismo dei nostri ‘over’. Il rapporto ‘Bupa Health Pulse’ rivela, infatti, una generazione di giovani di spirito che per il 70% non si sente affatto vecchia e, anzi, nel 40% dei casi è convinta che la cosiddetta terza età inizi ben dopo la pensione, intorno agli 80 anni. Ma qualche timore rimane. Su tutti la paura di perdere indipendenza e capacità intellettiva (70%). E quali accorgimenti adottano per cercare di ovviare a queste due serie difficoltà? A dire il vero ben pochi, dal momento che, sempre secondo il ‘Bupa Health’ il 75% di loro pensano che saranno le famiglie ad assumersi il carico dell’assistenza e percentuali irrisorie, seppure in crescita, fanno realmente qualcosa per assicurarsi la salute del loro corpo e della loro mente. ITALIANI PIGRI E SOVRAPPESO — Se è infatti vero che le attività culturali e le Università della terza età contano via via più iscritti, è altrettanto vero che i nostri anziani sono i più sedentari del vecchio continente. E’ questa la foto poco confortante scattata agli over 65 italiani dall’ISS, Istituto Superiore di Sanità, nell’ambito del ‘Progetto europeo Change’ (Care of Health Advertising New Goals for Elderly people), un’indagine per capire lo stato di salute, le abitudini e lo stile di vita della terza età europea. La loro pigrizia si traduce in un dato altrettanto preoccupante: il sovrappeso. Se infatti ben il 68% degli over 65 europei, può ‘vantare’ in media un indice di massa corporea superiore a 25, quindi già decisamente fuori misura, quando si tratta dell’Italia tocca si toccano punte del 78%. E le conseguenze di una simile attitudine sono super note: diabete, ipertensione, gravi rischi cardiovascolari, tumori, patologie a carico degli arti inferiori e, secondo recenti studi anche un netto peggioramento delle funzioni intellettive, in particolare, della memoria. Sono poi gli scienziati della Columbia University che, in uno studio pubblicato sul Journal of Neurology, condotto su 121 persone over 65, metà delle quali malate di Alzheimer a uno stadio iniziale, hanno evidenziato come i pazienti in sovrappeso avessero subito danni al cervello 4 volte superiori rispetto a quelli in perfetta forma. PIÙ GIOVANI GRAZIE AL FITNESS — Un altro buon motivo per muoversi lo fornisce una ricerca israeliana che dimostra come l'attività fisica aiuti il nostro organismo a resistere ai processi di invecchiamento. I ricercatori della Sackler School of Medicine dell'Università di Tel Aviv hanno testato la loro teoria su un gruppo di topolini, costretti ad affrontare per 13 settimane e 20 minuti al giorno uno sforzo fisico paragonabile al tapis roulant utilizzato comunemente nelle palestre. Il risultato ottenuto è stato una proliferazione delle cellule staminali di quasi la metà, con risultati più incisivi proprio sulle cavie più anziane. Quando si invecchia la massa, nonché le funzioni muscolari si riducono (sarcopenia), di conseguenza, il sistema muscolo-scheletrico è più suscettibile all'usura quotidiana, il che spiega anche l'aumento del rischio di caduta negli anziani. Con allenamenti di resistenza mirati, si può limitare il fenomeno e mantenere viva la capacità dell'organismo di auto-rigenerarsi. www.gazzetta.it